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mercoledì 4 settembre 2013

Tenzone Aurea: sbandieratori e musici in guerra

In occasione della prestigiosa Tenzone Aurea che si svolgerà in città dal 6 all''8 settembre presentiamo il ruolo nella guerra medievale e rinascimentale delle componenti visive (sbandieratori) e uditive (chiarine e tamburi).

L'alfiere si esibisce accompagnato da un tamburo
Sin dall'epoca antica la musica ha sempre avuto un ruolo nella guerra, difatti era uno dei fattori psicologici più usati per far marciare gli eserciti, scandendo il passo e i ritmi da seguire, oltre che il suo ruolo per la fase in cui si impartivano gli ordini.

Lo sbandieratore era un soldato che agile e fisicamente possente facendo la sua comparsa nei campi di battaglia nel 1300, quando si creano i primi gruppi scelti di addetti alle segnalazioni visive.
Di fatti la bandiera con cui armeggiava lo sbandieratore recava i simboli comunali o rappresentativi dall'esercito, ed eseguendo determinati movimenti notabili da tutto il campo di battaglia esprimeva quelli che erano gli ordini da eseguire dettati dal comandante o le azioni da compiere. 

Oppure anche nel mezzo della battaglia egli indicava ad esempio sventolando la bandiera con il simbolo di un determinato reparto che era il momento di intervenire nella mischia, oppure richiedeva rinforzi. Inoltre l'arte di sventolar bandiera veniva praticata anche in fase difensiva o di segnalazione quando si doveva comunicare fra gli innumerevoli reticolati di torri difensive sparse sul territorio, difatti quando la distanza era minore di quella per cui occorrevano fuochi e fumi di segnalazione gli sbandieratori comunicavano rapporti sventolando tramite un codice ben preciso.
Con il finire delle Guerre d'Italia del 1500, il secolo successivo si presentò come più "tranquillo" ed il ruolo dello sbandieratore si spostò a corte, dove con la sua maestria dell'armeggiare con il vessillo eseguiva spettacoli per i regnanti, accompagnato dal suono di chiarine e tamburi, cosa che accadeva anche fra il popolo in occasione ad esempio di feste patronali.

I Musici (tamburi e chiarine) hanno origini che si perde nei tempi antichi, essendo già conosciute ed impiegate in guerra dagli eserciti romani e anche precedenti. Specialmente i tromboni a suono cupo erano usati per segnalare attacchi e ritirate delle Legioni, mentre i tamburi venivano impiegati essenzialmente per dettare i ritmi ai rematori delle navi.

Con l'avvento del Medioevo nelle scene di battaglia terrestri la musicalità venne adattata a marce e segnali di attacco, oltre che per sospingere gli eserciti. La chiarina medievale successivamente ebbe grandi risvolte nelle sale dei palazzi, mentre nell'arco storico che ancora riguarda il gioco della bandiera e degli eserciti, a partire dalla metà del '600 si affiancarono ai tamburi al posto delle chiarine i flauti, come dimostrato da incisioni delle forze armate della Repubblica di Venezia. 

martedì 3 settembre 2013

Francesco Stabili "Cecco d'Ascoli"

Francesco Stabili

Cecco d'Ascoli

Astrologo et Poeta


Francesco Stabili, o anche Francesco degli Stabili nasce durante il cammino per recarsi ad Ancarano in occasione della festa per la Madonna della Pace, nella quale la madre Emindia partorisce nel 1269, senza aiuto di ostetrica, nei pressi di una fonte miracolosa.

Al secolo chiamato Chicus, diminutivo latino di Francesco, cresce e vive ad Ascoli, nella zona di Porta Romana, passa il tempo sotto le mura della città, in maniera anomala per un ragazzo del suo tempo: osservando e contemplando il cielo, ponendosi delle domande. 

Cecco sotto il bastione circolare di Porta Romana
All'età di 13 anni, il giovane Francesco, con aiuto del padre si trasferisce a Bologna, dove intraprende i suoi studi scientifici, essendo allievo di un rettore illustre e pieno di conoscenza. Successivamente, 2 anni più tardi, sarà di nuovo a Salerno, con il padre, per approfondire studi in una "florida e docta scola di medicina".

Rientrato quindi ad Ascoli, sembra che fosse entrato nel convento di Sancta Crucis ad Templum, di chiara matrice e fondazione Templare, uno dei principali centri dell'ordine cavalleresco nella Marca meridionale.

Alcuni fonti lo segnalano a Firenze nel 1314, ma nel periodo compreso fra 1322 e 1324 si stabilisce a Bologna, dove ottiene una "cattedra" per insegnare, con il titolo di "Lettore" di Astrologia, venendo descritto come "adorato dai discepoli, odiato dai colleghi". Successivamente insegnerà anche medicina all'Alma Mater. Qui iniziano i primi problemi per l'ascolano, dove in seguito a dei suoi commenti negativi sulla visione della Chiesa temporale e delle cristianità  verrà condannato a pagare una grossa multa, inoltre l'inquisitore Lamberto da Cingoli farà perdere la cattedra allo Stabili e la requisizioni di tutti i suoi libri riguardanti gli astri e le materie scientifiche, commissionandogli inoltre una certa dose di preghiere da eseguire.
Ma sotto la costante pressione dei suoi allievi che lo "adottarono" fu riammesso all'università, venendo anche promosso di livello.

Negli anni centrali della decade 1320-1330 compose quella che è conosciuta come la sua maggiore ed incompiuta opera, l' Acerba Etas, un trattato didattico scientifico di 4865 versi composti in sestine. L'opera è un misto di argomenti, in cui ad esempio il poeta prova a rendere più interessanti argomenti astratti, sconosciuti e impopolari oppure si scaglia contro altri colleghi del suo tempo, come Dante Alighieri (che come vedremo in seguito già conosceva), rinfacciandogli di narrare favole di sola fantasia, celebri i versi di forte critica al favellare fantasioso del poeta toscano:

"Qui non se canta al modo de le rane
Qui non se canta al modo del poeta
Che finge immaginando cose vane./
Lasso le ciance e torno su nel vero.
Le fabule me fur sempre nemiche"

Una chiarissima critica alla Commedia di Dante. L'Acerba viene infatti così definita per la durezza e schiettezza del suo stile, quasi in contrasto con l'appunto "dolce" Stil Novo del periodo dantesco. Ma il giovane Francesco Petrarca, per difendere e omaggiare l'operato del maestro così scriverà: "Tu sei il grande ascolan che il mondo illumi per grazia dell'altissimo tuo ingegno. Tu solo in terra di veder sei degno esperienza degli eterni lumi.."

Si ricorda inoltre che durante il periodo delle sue attività di insegnamento a Bologna, ebbe il nobile incarico di medico personale di Sua Santità il Papa alla corte di Avignone, durante, il periodo della cattività. 
Terminata questa parentesi tornerà in Toscana dove la sua carriera nel campo della medicina continuerà, infatti stabilendosi a Firenze nel 1326 verrà nominato da Carlo d'Angiò medico di corte.

Negli ultimi tre anni che passerà a Firenze, Cecco dovrà destreggiarsi fra l'invidia che suscita nei suoi colleghi e dovrà combattere visto che da tempo era già in contrasto con il cancelliere (nonché vescovo d'Aversa) Fra Raimondo. Inoltre come detto prima, il popolare Francesco era affiliato alla setta dei Fedeli dell'Amore", di cui facevano parte fra gli altri Cavalcanti, Angiolieri, Gunizelli  e lo stesso Dante, il quale finisce per inimicarselo quando Francesco lo vedrà "acconciarsi con i frati".
Francesco inclinerà ancor più la sua posizione prevedendo un oroscopo negativo alla figlia del Duca.
Carlo d'Angiò, sentendo la sua casata disonorata da quella previsione, e non tollerando tale affronto dal medico di corte si rivolse all'inquisizione, creando notevoli capi d'accusa, ed imbastendo quelle che saranno le imputazioni dell'astrologo di fronte il tribunale inquisitorio.
L'inquisizione sul banco di prova presenta oltre le accuse della corona, anche quelle promosse frati che avevano visto per le strade di Mercato Vecchio Cecco che prendendosi gioco del popolino si divertiva a far credere di essere in grado di prevedere che forma avrebbero assunto le nuvole che rievocavano figure umane, questa fu una delle prove che riusci a schiacciarlo. 

Il 15 settembre 1527 fu dunque dichiarato eretico e colpevole di praticare magia nera dalla Santa Inquisizione, nel cui tribunale figuravano i nomi di Francesco da Barberino e Frate Accursio. Il giorno dopo fu arso vivo insieme ai suoi libri davanti alla basilica di Santa Croce.

Leggenda vuole che le sue ultime parole, mentre ardeva furono "l'ho detto, l'ho insegnato, lo credo!"